Quando chiese al giudice di scarcerare Katerina Mathas, la giovane accusata a Genova dell’omicidio del figlio insieme con Giovanni Antonio Rasero, il pubblico ministero, Marco Airoldi, lo aveva invitato a prendere posizione sui fatti di quella notte maledetta in un residence di Nervi, confrontandosi con la sua visione e, in particolare, con i risultati delle indagini della polizia. E questo è avvenuto, come Il Secolo XIX è in grado di rivelare, dopo aver in parte preso visione dell’ordinanza con cui la Mathas è stata scarcerata: «L’azione omicidiaria - è scritto nel documento firmato dal giudice per le indagini preliminari, Vincenzo Papillo, va attribuita a Rasero con ogni verosimiglianza ». Di più: «In base a quanto emerso nel corso degli accertamenti della squadra mobile, va escluso il concorso doloso, morale e materiale della madre del piccolo Alessandro».
È la chiave del provvedimento che ha annullato la misura cautelare della custodia in carcere per la 26enne, e si fonda su tre pilastri: il Dna sulle tracce estratte dal morso inferto al piedino destro del bimbo, corrispondente a quello dell’agente marittimo; le contraddizioni e le bugie manifeste di cui sono punteggiate le versioni fornite da Rasero nel corso dei quattro interrogatori davanti al Pm; la «linearità» del racconto della madre, che non è mai stato contraddetto dai risultati investigativi e ha mantenuto una certa coerenza.
In poche parole, l’omicidio, per il giudice, si consumò nell’ora e mezza in cui lei uscì dal monolocale per andare in cerca di qualche grammo di cocaina. Convinzione maturata grazie ai fotogrammi delle telecamere di sorveglianza del residence e dall’analisi dei tabulati telefonici.
L’incrocio delle rispettive testimonianze e la lettura degli sms partiti dalla casa del delitto hanno fatto escludere che l’omicidio sia maturato dopo il ritorno della donna nell’alloggio. Resta da capire come sia possibile che Katerina Mathas abbia dormito in quella stanza senza accorgersi che il figlio, a pochi passi, era senza vita.