giovedì 8 aprile 2010

Stefano Cucchi ucciso dalla negligenza dei medici


Se fosse stato curato adeguatamente, Stefano Cucchi sarebbe ancora vivo. Su quel letto del reparto penitenziario dell’ospedale Pertini di Roma, il geometra trentenne arrestato il 15 ottobre per droga non è morto, solo una settimana dopo, per disidratazione: il giorno prima aveva bevuto tre bicchieri d’acqua. È morto per omissioni e negligenze dei medici. Sono le conclusioni a cui è arrivato il pool guidato dal direttore dell’istituto di medicina legale della Sapienza Paolo Arbarello, che oggi ha illustrato quanto contenuto nella relazione, 147 pagine e oltre 14 mila radiografie, tac e foto, consegnata ai pm della Procura di Roma Vincenzo Barba e Francesca Loy che indagano sulla morte del ragazzo.

«Cucchi non è stato curato bene, non sono state messe in atto terapie che avrebbero potuto scongiurarne la morte, non è stata colta la gravità della sua condizione» spiega lo stesso Arbarello, secondo cui il giovane è morto «per le affezioni che aveva, per il suo quadro clinico: soffriva di ipoglicemia, aveva disturbi epatopancreatici, elettrolitici e bradicardia. In più era cachettico, cioè un soggetto terribilmente magro che ha deciso di non alimentarsi». Insomma, sintetizza l’esperto, «se fosse stato curato in modo adeguato non sarebbe morto». Una conclusione che nella sostanza concorda con quella della commissione parlamentare di inchiesta sul Servizio sanitario, ha fatto notare il presidente Ignazio Marino («le cure mediche devono essere garantite a tutti i cittadini, anche ai detenuti, come prevede la Costituzione» il suo commento).

Su un punto in particolare c’è identità: le fratture trovate sul cadavere di Stefano, forse legate al presunto pestaggio avvenuto nei sotterranei del Tribunale, non sono state mortali. «Alcune - prosegue Arbarello - sono precedenti alla vicenda, altre invece erano recenti e compatibili con una caduta podalica» spiega il medico, ma «non è compito nostro stabilire come sia avvenuta questa caduta». In ogni caso Cucchi «era un paziente che necessitava di essere assistito. Negli altri ospedali in cui è stato visitato, all’infermeria di Regina Coeli e al Fatebenefratelli, la diagnosi è stata corretta. Non sappiamo nè perchè sia stato deciso di portarlo al reparto penitenziario del Pertini, nè perchè non siano state praticate terapie adeguate». «Stefano stava bene, era persino andato in palestra. Lavorava, tutti lo hanno visto - fa notare il legale dei Cucchi, Fabio Anselmo - Dopo il suo arresto, e in virtù di quanto è successo, è stato portato al Pertini dove poi è morto. E anche se le lesioni dolose non sono di per sè mortali, la sequenza causale non si interrompe. Sabato alla Camera presenteremo la nostra relazione: ne emergeranno verità dirompenti». E mentre la Procura punta il dito contro tre guardie carcerarie e sei sanitari, l’Ordine dei medici di Roma ha aperto due fascicoli su altrettanti dottori coinvolti nella vicenda, che saranno ascoltati. Si stanno valutando inoltre le posizioni di altri tre medici.

da lastampa.it